- 8 Ottobre 2025
- Marchi
- Raffaele Bonini
Nel corso del 2024 e 2025, la giurisprudenza della General Court dell’Unione Europea ha tracciato un solco sempre più netto nel modo in cui devono essere valutate le controversie in tema di marchi. Si tratta di un’evoluzione che non solo tocca i grandi attori del mercato europeo, ma interessa in modo diretto anche le PMI italiane che desiderano tutelare efficacemente il proprio brand a livello comunitario. Le decisioni più recenti della Corte stanno infatti affinando – e in certi casi restringendo – i criteri di registrazione e opposizione dei marchi UE, rafforzando l’esigenza di una strategia fondata su evidenze forti, distintività reale e uso coerente nel mercato.
Confondibilità tra marchi: un criterio sempre più articolato
Uno dei principi cardine nella materia della proprietà industriale è quello della “likelihood of confusion”, ovvero la probabilità di confusione tra due marchi. È un concetto centrale nei procedimenti di opposizione, regolato dall’articolo 8 del Regolamento (UE) 2017/1001. Eppure, applicarlo non è mai un esercizio meccanico. Lo sa bene chi si è trovato davanti all’EUIPO per contestare la registrazione di un marchio potenzialmente lesivo.
La General Court, in materia di marchi, ha ribadito che la confondibilità deve essere valutata in base a una serie di fattori interdipendenti: somiglianza visiva, fonetica e concettuale dei segni; grado di attenzione del consumatore medio; affinità tra i prodotti o servizi; e soprattutto, distintività del marchio anteriore. In sostanza, non basta un’assonanza fonetica o un elemento grafico simile per ottenere la tutela: serve dimostrare che nel complesso i due segni possono effettivamente indurre in errore il pubblico.
Nel caso Real Pharm vs. EUIPO (T‑312/24), ad esempio, la Corte ha respinto la domanda di registrazione per il marchio “REAL PHARM” ritenendolo confondibile con un marchio figurativo precedente basato sulla parola “REAL”. Pur trattandosi di due segni non identici, la Corte ha valorizzato il fatto che l’elemento dominante comune fosse percepito come distintivo e centrale, specialmente alla luce della categoria merceologica simile.
Uso genuino del marchio: prove, tempistiche e conseguenze
Un altro filone giurisprudenziale che ha conosciuto sviluppi significativi riguarda il concetto di uso genuino del marchio. Ai sensi dell’art. 58 del Regolamento, un marchio UE può essere revocato se non viene utilizzato in modo effettivo per cinque anni consecutivi. Ma cosa significa “uso genuino”? E quali prove servono per dimostrarlo?
La Corte ha affrontato il tema chiarendo che l’uso deve essere reale, conforme alle pratiche del settore, e non puramente simbolico. Le prove devono dimostrare un’attività economica concreta e continuativa. In questo senso, si valorizza la coerenza dell’uso rispetto al mercato di riferimento e l’effettiva funzione del marchio come indicatore di origine commerciale.
Ancora più rilevante un altro caso in merito al quale la Corte si è pronunciata sull’ammissibilità delle prove presentate tardivamente. Qui è emerso un orientamento severo: chi partecipa a un procedimento davanti all’EUIPO ha l’onere di presentare tutta la documentazione rilevante entro le scadenze previste. Le prove introdotte successivamente possono essere rifiutate, salvo che il ritardo sia giustificato da circostanze eccezionali. Ciò impone una gestione molto rigorosa della documentazione, sin dalle prime fasi della strategia difensiva o offensiva.
Un altro aspetto interessante sollevato in questa vicenda è il possibile abuso di diritto nell’azione di revoca: se l’intento non è quello di proteggere interessi legittimi, ma di danneggiare l’avversario in modo strumentale, la Corte potrebbe rigettare la richiesta. Questo è un monito importante per chi valuta di agire contro un marchio concorrente.
Marchi descrittivi: i confini della distintività
Il 2025 ha visto anche alcune decisioni che toccano il tema della distintività del marchio, in particolare per quanto riguarda marchi non convenzionali (come quelli di posizione) e l’uso di segni descrittivi o tecnicamente funzionali.
Emblematico è stato il caso VistaJet (T‑195/24), che ha riguardato il tentativo di registrare come marchio di posizione una linea rossa lungo la fusoliera di un aereo. La Corte ha ritenuto che tale configurazione, sebbene visivamente identificabile, non possedesse sufficiente carattere distintivo rispetto alle prassi comuni del settore. È un segnale forte verso tutti quei marchi che si limitano a elementi decorativi o stilistici senza una vera capacità distintiva.
Infine, merita attenzione anche la linea giurisprudenziale sui marchi contenenti nomi geografici, come nel caso Iceland Foods. Qui la Corte ha confermato che termini come “Iceland” non sono registrabili come marchi esclusivi se ritenuti descrittivi o potenzialmente fuorvianti. Il ragionamento è semplice: non si può concedere un monopolio su parole che descrivono una provenienza geografica rilevante per i consumatori, salvo che sia dimostrata una distintività acquisita straordinaria.
Marchi e linee guida General Court: quali indicazioni per le imprese italiane?
Alla luce di queste pronunce, emerge un panorama sempre più rigoroso e tecnico. Le imprese italiane che operano a livello europeo devono rafforzare le loro strategie di branding con un’attenzione particolare a tre aspetti fondamentali: la distintività del segno, la documentazione dell’uso reale nel mercato, e la coerenza tra marchio e contesto settoriale.
Registrare un marchio “simile” a quello di un concorrente non è più un’opzione “a basso rischio”: anche piccole sovrapposizioni possono diventare ostacoli se l’elemento comune è percepito come distintivo. Allo stesso modo, detenere un marchio registrato ma non utilizzato attivamente può aprire le porte ad una decadenza per non uso.
Per chi gestisce portafogli IP a livello europeo, la parola d’ordine è prevenzione: non basta registrare, serve costruire un dossier probatorio solido, aggiornato e coerente con il mercato di riferimento. E per chi si trovi in posizione difensiva, è cruciale valutare attentamente le tempistiche, la qualità delle prove, e la linea argomentativa già in sede amministrativa, perché recuperare terreno davanti al General Court non è sempre possibile.
Affidati a un professionista
Le pronunce della General Court dell’UE stanno ridefinendo il perimetro di ciò che è effettivamente proteggibile come marchio. Il confine tra tutela e nullità, tra distintività e decorazione, tra uso simbolico e uso genuino, si fa sempre più stretto. In questo scenario, chi desidera tutelare il proprio brand a livello europeo deve affiancare alla creatività anche una solida strategia legale e documentale. Lo Studio Bonini offre consulenza specializzata sia nella fase di registrazione, per evitare conflitti futuri, sia nella fase di contenzioso, per tutelare i diritti già acquisiti da imprese e professionisti.