- 11 Settembre 2025
- Marchi
- Raffaele Bonini
Con la sentenza n. 5602 del 27 giugno 2025, il Consiglio di Stato ha confermato un principio rilevante in materia di proprietà industriale pubblica: la licenza d’uso del marchio “Festival di Sanremo” non può avvenire direttamente, ma deve essere preceduta da una procedura ad evidenza pubblica.
Il caso riguarda uno degli asset immateriali più iconici del panorama culturale italiano, di titolarità del Comune di Sanremo. Proprio per questa ragione, lo sfruttamento economico del marchio non può avvenire in via diretta – ad esempio a favore della RAI – ma necessita di un bando pubblico, trattandosi di un contratto attivo dal quale deriva un’entrata per l’ente pubblico.
Il contenzioso
Tutto nasce nel 2023, quando JE S.r.l., società attiva nel settore musicale, manifesta formalmente al Comune l’interesse ad acquisire la licenza d’uso del marchio “Festival di Sanremo”, sollecitando l’avvio di una gara pubblica per l’edizione 2024. Il Comune, tuttavia, non accoglie la richiesta, dichiarando “improcedibile” la manifestazione d’interesse e proseguendo nella tradizionale assegnazione diretta alla RAI.
A questo punto, JE propone ricorso contro il provvedimento di affidamento in esclusiva del marchio e della gestione delle future edizioni del Festival, lamentando la mancata indizione di una gara pubblica. Il TAR Liguria, nel 2024, respinge il ricorso ritenendolo inammissibile, ma riconosce l’obbligo di evidenza pubblica nella licenza del marchio, definendola come “contratto attivo” soggetto ai principi di trasparenza, concorrenza e imparzialità.
Il ruolo del marchio e il format televisivo
In appello, RAI ha cercato di legare inscindibilmente il marchio al format del programma televisivo, rivendicando la paternità creativa dell’impianto narrativo del Festival e sostenendo che il marchio non potesse essere disgiunto dal programma così come concepito dalla rete pubblica. Tuttavia, il Consiglio di Stato non ha accolto questa visione. Secondo i giudici, il marchio “Festival di Sanremo” identifica l’evento musicale organizzato dal Comune, indipendentemente dal format televisivo con cui viene rappresentato. È quindi un bene immateriale autonomo, con una sua identità distinta dal prodotto editoriale televisivo. Il legame tra evento e trasmissione, pur storicamente consolidato, non giustifica l’affidamento diretto né esclude l’obbligo di procedura pubblica, soprattutto alla luce dei principi che regolano la gestione del patrimonio pubblico.
Le conclusioni del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha ribadito che la licenza d’uso del marchio:
- costituisce un contratto attivo da cui il Comune trae un beneficio economico;
- non rientra direttamente nell’ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023, art. 13, comma 2), ma
- è comunque soggetta ai principi di trasparenza, concorrenza e non discriminazione previsti dagli articoli 1, 2 e 3 del medesimo decreto.
In sostanza, la licenza del marchio Festival di Sanremo non può avvenire per consuetudine o per storicità del rapporto con la RAI, ma deve rispettare le regole della concorrenza.
Sanremo, licenza d’uso del marchio: perché la sentenza del Consiglio di Stato è rilevante
Questa sentenza è particolarmente significativa per tutti gli enti pubblici titolari di asset immateriali, come marchi, nomi a dominio, e per gli operatori privati interessati alla loro valorizzazione.
Nel tempo, molte amministrazioni hanno acquisito o registrato segni distintivi legati al proprio territorio o al proprio patrimonio culturale, spesso associandoli a eventi di grande impatto mediatico. Tuttavia, la gestione concreta di questi beni immateriali si è spesso basata su consuetudini o rapporti consolidati, più che su procedure strutturate e conformi ai principi dell’evidenza pubblica.
La pronuncia del Consiglio di Stato chiarisce che l’utilizzo economico di un marchio di titolarità pubblica configura un’operazione rilevante sotto il profilo del diritto amministrativo e della concorrenza, anche quando si tratti di eventi legati al mondo dello spettacolo o della comunicazione. Ne consegue che la licenza d’uso del marchio non può avvenire sulla base di prassi storiche o accordi informali, ma deve essere gestita come una vera e propria operazione di valorizzazione patrimoniale, nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità e concorrenza.
Per gli operatori privati – broadcaster, produttori, società di eventi, editori – si apre dunque un contesto più chiaro e aperto all’accesso competitivo, nel quale la possibilità di utilizzare un marchio pubblico potrà derivare non da legami pregressi, ma da procedure selettive improntate a criteri oggettivi. Si tratta di un cambiamento che potrebbe incidere profondamente sulle dinamiche di collaborazione tra pubblico e privato nel settore culturale e creativo, richiedendo maggiore attenzione agli aspetti contrattuali, ai diritti IP coinvolti e alla corretta qualificazione giuridica dei rapporti.
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Lo Studio Bonini monitora l’evoluzione giurisprudenziale in materia di registrazioni e di licenze di marchi pubblici, offrendo assistenza specializzata nella tutela e gestione dei diritti di proprietà intellettuale, sia per soggetti pubblici che privati.