- 20 Novembre 2025
- Marchi
- Raffaele Bonini
Nel panorama della proprietà industriale, il rischio che due marchi possano essere “confondibili” rappresenta una questione centrale per imprese, avvocati e consulenti in IP. Una recente analisi pubblicata sul portale “SPRINT – Sistema Proprietà Intellettuale” esplora quali criteri il giudice deve considerare nel giudizio di confondibilità tra marchi.
Cosa significa “giudizio di confondibilità”
Il giudizio di confondibilità riguarda due marchi che, utilizzati per prodotti o servizi simili o identici, possano generare nel pubblico un rischio di confusione – ossia far credere che provengano dalla stessa impresa o che esista un legame economico fra imprese diverse.
Per le imprese è fondamentale comprendere queste dinamiche: un marchio registrato non garantisce automaticamente assenza di rischi se appare troppo simile a uno già presente sul mercato o se appartiene a un ambito merceologico sovrapponibile.
Quali sono i criteri che il giudice esamina
Secondo l’approfondimento di SPRINT, il giudice tiene conto di molteplici elementi nel decidere se sussista il rischio di confondibilità:
- La forza distintiva del marchio anteriore: un marchio “debole” (es. parola di uso comune) ha capacità di tutela attenuata.
- Il grado di somiglianza visiva, fonetica e concettuale tra i segni confrontati.
- La vicinanza dei prodotti o servizi di un marchio rispetto ad un altro marchio anteriore, e la probabilità che lo stesso pubblico li percepisca come provenienti dallo stesso titolare.
- L’eventuale notorietà del marchio anteriore .
Eventuali modifiche minime al segno del terzo che, in presenza di marchio debole, possono essere sufficienti ad escludere il rischio di confusione.
Perché è rilevante il concetto di marchio debole
Nell’approfondimento si sottolinea come, nel caso di marchi deboli – ad esempio costituiti da una parola di uso comune che richiama direttamente la destinazione del prodotto – la tutela sia ridotta. Per questi marchi deboli, variazioni anche minime da parte di terzi possono bastare per evitare che si ravvisi confondibilità.
Per le imprese ciò significa che:
- il grado di protezione va valutato con attenzione già in fase di registrazione;
- una strategia di branding con un marchio lessicalmente debole espone a rischi maggiori;
- nel portafoglio dei marchi sono da considerare attentamente sia i segni che si desidera tutelare sia quelli altrui che possono generare conflitti.
Implicazioni pratiche per imprese e professionisti della proprietà intellettuale
Alla luce di quanto sopra, emergono alcune raccomandazioni concrete:
- Eseguire una verifica interna per valutare la “forza distintiva” dei propri segni e il rischio di assoggettamento a confondibilità rispetto a segni terzi.
- Prevedere analisi preventive di interferenza prima del lancio di nuovi marchi o prodotti afferenti a classi merceologiche a rischio.
- Curare il piano di sfruttamento commerciale del marchio: uso effettivo, visibilità, diffusione aiutano a rafforzarne la tutela.
- Valutare attentamente le modifiche o varianti dei segni: nel caso di marchi deboli, anche una variazione minima può essere decisiva in sede legale .
- Redigere contratti e patti di licenza/cessione che considerino clausole specifiche riguardo al rischio confondibilità e all’uso del marchio in contesti sovrapponibili.
Affidati a un professionista
Il tema del giudizio di confondibilità tra marchi non è solo un capitolo tecnico del diritto industriale: è un fattore strategico per la tutela, lo sviluppo e la valorizzazione del brand aziendale. La valutazione del giudice non si limita infatti ai soli segni, ma considera la loro forza distintiva, il contesto d’uso e la vicinanza merceologica. Le imprese che vogliono usare in modo efficace i propri asset intangibili devono prestare massima attenzione a queste variabili.
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