- 11 Settembre 2025
- Marchi
- Ercole Bonini
La recente decisione del Consiglio di Stato sul marchio “Festival di Sanremo” ha riportato l’attenzione su un aspetto spesso trascurato nel dibattito pubblico e anche in molte prassi operative: la distinzione giuridica tra marchio e format televisivo. Si tratta di due beni immateriali che, pur potendo coesistere e interagire in ambito mediatico, rispondono a logiche e regimi di tutela profondamente diversi.
Che cos’è un marchio e cosa si intende per format
Il marchio è un segno distintivo che serve a identificare un prodotto o un servizio, e beneficia di una tutela formale attraverso la registrazione presso gli uffici competenti, come l’UIBM, l’EUIPO o il WIPO. La sua funzione è quella di garantire l’origine e la riconoscibilità, rendendolo uno strumento fondamentale nella valorizzazione commerciale di eventi, aziende e produzioni.
Il format televisivo, al contrario, è un concetto più sfuggente dal punto di vista giuridico. Esso riguarda la struttura narrativa, l’organizzazione del contenuto e gli elementi ricorrenti che caratterizzano un programma. Non esiste un registro ufficiale per la tutela dei format, che possono essere protetti solo in via indiretta, tramite il diritto d’autore.
Il caso Sanremo: un legame storico, ma non giuridico
Nel caso specifico del Festival di Sanremo, la RAI ha sostenuto che il marchio e il format del programma fossero inscindibili, poiché l’evento è stato per decenni realizzato secondo un’impostazione televisiva elaborata internamente. Secondo questa visione, il marchio non potrebbe essere utilizzato da altri senza violare l’identità del format, e di conseguenza senza generare confusione o indurre in errore il pubblico.
Il Consiglio di Stato ha però respinto tale impostazione. I giudici hanno chiarito che il marchio “Festival di Sanremo” è riferibile all’evento musicale di titolarità del Comune e che il legame con il format televisivo, per quanto consolidato nel tempo, non determina un vincolo giuridico tra i due beni. Il marchio conserva un’identità autonoma e può essere dato in licenza anche a soggetti diversi, a condizione che ciò avvenga nel rispetto dei principi di trasparenza e concorrenza.
Le implicazioni per la gestione pubblica dei diritti IP
Questa precisazione assume un rilievo particolare per gli enti pubblici che detengono asset immateriali come marchi legati a manifestazioni culturali o sportive. Non è raro che, nel corso degli anni, questi beni vengano gestiti in modo informale, spesso reiterando rapporti consolidati con operatori storici. Tuttavia, la decisione del Consiglio di Stato ci ricorda che la gestione di tali diritti deve essere conforme alla disciplina sulla evidenza pubblica, e che non può fondarsi esclusivamente su prassi consolidate.
Il “contratto attivo” e l’obbligo di procedura competitiva
Un ulteriore aspetto chiarito dalla sentenza è la qualificazione della licenza del marchio come “contratto attivo”. In questo caso, il Comune non acquista un servizio, ma concede l’uso di un proprio bene immateriale ottenendone un ritorno economico. Pur essendo escluso dal campo di applicazione diretta del Codice dei contratti pubblici, questo tipo di contratto di licenza resta soggetto ai principi fondamentali di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento. Si tratta di un passaggio importante, che rafforza l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di valorizzare i propri diritti IP attraverso procedure competitive.
Marchio e format televisivo: diritti distinti, tutele diverse
La decisione giurisprudenziale offre quindi una base chiara per distinguere ruoli e competenze. Il Comune di Sanremo è titolare del marchio e, come tale, può disporne nell’ambito dei limiti di legge. La RAI, dal canto suo, potrà far valere eventuali diritti d’autore sul format, ma non può vantare un diritto esclusivo sull’uso del marchio.
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