- 4 Dicembre 2025
- Marchi
- Raffaele Bonini
Nel novembre 2025 l’EUIPO, in collaborazione con gli Uffici nazionali per la proprietà intellettuale degli Stati membri e con le Associazioni degli utenti, ha adottato la nuova prassi comune CP16, intitolata “Signs describing the subject matter of goods and/or services”. Si tratta di un intervento particolarmente rilevante nel percorso di armonizzazione delle prassi europee in materia di marchi descrittivi, perché chiarisce in modo sistematico quando un segno deve essere considerato descrittivo della “materia” di beni e servizi e, quindi, non registrabile. La nuova prassi si inserisce nel quadro delle iniziative volte a rendere sempre più uniforme la valutazione dei marchi nei 27 Paesi dell’Unione, riducendo le incertezze interpretative e aumentando la prevedibilità delle decisioni per imprese e professionisti.
Marchi descrittivi: cosa si intende per “segni che descrivono la materia”
La CP16 si concentra su una tipologia molto specifica di segni: quelli che descrivono direttamente il contenuto, l’argomento o la materia oggetto del bene o del servizio. Non si parla quindi di marchi descrittivi in termini di qualità, funzione o caratteristica del prodotto, ma di segni che indicano esattamente “di cosa tratta” il bene o il servizio stesso. Il classico esempio riguarda l’editoria, i contenuti digitali, i software, i servizi informativi e formativi: in questi ambiti, è frequente che il segno richiesto come marchio coincida con il tema o l’oggetto del contenuto. Proprio questa coincidenza, secondo la nuova prassi, può rendere il segno intrinsecamente descrittivo e dunque non idoneo alla registrazione.
Perché un segno descrittivo non è registrabile
Il principio di fondo ribadito dalla CP16 è quello già espresso dalla normativa europea sui marchi: un segno non può essere monopolizzato da un singolo operatore se serve, per sua natura, a descrivere un prodotto o un servizio. In questi casi, la sua libera disponibilità è ritenuta essenziale per garantire la concorrenza.
Se il pubblico percepisce immediatamente il segno come una semplice indicazione del contenuto o della materia del bene o servizio, quel segno non svolge la funzione tipica del marchio, ossia distinguere l’origine imprenditoriale del prodotto. Ed è proprio questo il punto centrale su cui si fonda la CP16.
Come cambia la valutazione con la nuova prassi
Prima dell’adozione della CP16, la valutazione dei marchi che descrivevano la materia dei beni o servizi era spesso disomogenea tra i diversi Uffici nazionali. Con la nuova prassi comune, invece, vengono forniti criteri condivisi per stabilire quando un segno deve essere considerato descrittivo e quindi rifiutato. La valutazione si basa in particolare su due elementi: la natura del bene o servizio e la percezione del pubblico di riferimento. Se il pubblico, senza bisogno di alcuno sforzo interpretativo, collega immediatamente il segno al contenuto del bene o del servizio, il marchio è destinato a essere respinto. Questo approccio rende le decisioni più uniformi e riduce il margine di incertezza per chi deposita.
Marchi descrittivi e settori più esposti al rischio di rifiuto
La nuova prassi incide in modo significativo su alcuni settori specifici, tra cui l’editoria, il software, i servizi digitali, la formazione, l’informazione, l’intrattenimento e in generale tutti i comparti legati ai contenuti. In questi ambiti è molto frequente adottare denominazioni che descrivono direttamente il tema dell’attività svolta. Con la CP16, diventa ancora più rischioso depositare come marchio un segno che si limiti a indicare l’argomento del servizio o del prodotto. In assenza di elementi distintivi ulteriori, il rifiuto del marchio è oggi più prevedibile rispetto al passato.
Marchi descrittivi e conseguenze pratiche per imprese e professionisti
Dal punto di vista operativo, la CP16 impone alle imprese una riflessione più attenta sul processo di scelta del marchio. I marchi descrittivi possono essere efficaci dal punto di vista comunicativo, ma risultano spesso deboli o addirittura nulli sul piano giuridico. La nuova prassi rende ancora più evidente l’importanza di orientarsi verso segni di fantasia capaci di distinguersi e di superare agevolmente l’esame di registrabilità. La creatività nella scelta del nome diventa quindi una componente essenziale non solo del branding, ma anche della strategia di tutela legale.
La CP16 e strategia di protezione del marchio
La registrazione di un marchio non può più essere affrontata come un adempimento formale. Con l’introduzione della CP16 diventa indispensabile effettuare una valutazione preventiva del rischio di descrittività, soprattutto per coloro che operano nei settori più esposti.
Una strategia di protezione efficace deve tenere conto non solo della disponibilità del segno, ma anche della sua capacità distintiva nel tempo e nei vari mercati. Questo vale ancora di più per le imprese che operano a livello europeo o internazionale e che devono confrontarsi con sistemi di esame sempre più armonizzati.
La CP16 come opportunità per un branding più solido
Pur introducendo criteri più rigorosi, la CP16 rappresenta anche un’opportunità. Essa spinge le imprese verso scelte di branding più consapevoli, orientate a costruire marchi realmente distintivi, forti e difendibili nel tempo. Marchi meno descrittivi sono non solo più tutelabili, ma anche più valorizzabili sotto il profilo economico e strategico.
Affidati a un professionista
In un contesto in cui il marchio è sempre più un asset strategico, comprendere e anticipare le regole diventa essenziale per proteggere il valore dell’impresa e del suo brand nel lungo periodo.
Lo Studio Bonini affianca imprese, startup e professionisti nella valutazione preventiva dei rischi di registrabilità, nel deposito di marchi a livello nazionale, europeo e internazionale e nella definizione di strategie di tutela coerenti con l’evoluzione delle prassi EUIPO.