- 25 Settembre 2025
- Copyright
- Raffaele Bonini
Nel mondo dell’intrattenimento, – con focus sul cinema e i diritti d’immagine – non è raro che i protagonisti di film di successo diventino volti iconici, riconoscibili e, soprattutto, commercializzabili. Bambole, t-shirt, poster, oggetti da collezione: il personaggio sullo schermo spesso si trasforma in un vero e proprio brand. Ma a chi spettano i guadagni derivanti da questo sfruttamento commerciale? È proprio questo il nodo cruciale della controversia che ha recentemente coinvolto l’attrice Bonnie Aarons, che ha interpretato Valak nella saga cinematografica The Conjuring, prodotta da Warner Bros.
Il contesto: un personaggio diventato fenomeno di culto
Bonnie Aarons ha interpretato il personaggio di Valak, noto come “The Nun”, a partire da The Conjuring 2 (2016), per poi essere protagonista dello spin-off The Nun (2018) e tornare nuovamente in The Nun II (2023). Il personaggio è divenuto una vera e propria icona dell’horror moderno, generando un’enorme quantità di merchandising ufficiale: dalle statuette alle maschere, dalle tazze ai costumi di Halloween, fino ai gadget più inaspettati.
Tuttavia, nel 2023, Aarons ha intentato una causa contro Warner Bros., New Line Cinema e le altre società coinvolte nella produzione, sostenendo che non le sarebbero stati corrisposti i compensi previsti dal contratto in relazione ai proventi del merchandising che sfrutta la sua immagine come volto del demone Valak.
La questione legale: quando l’immagine dell’attore diventa diritto patrimoniale
Secondo quanto emerge dal reclamo legale, l’attrice avrebbe firmato un contratto che prevedeva esplicitamente una percentuale sui ricavi lordi derivanti dal merchandising basato sulla sua “somiglianza” con il personaggio interpretato. Nonostante ciò, Aarons sostiene di aver ricevuto rendiconti incompleti o poco trasparenti, che non rifletterebbero il reale volume delle vendite. In particolare, la documentazione fornitale includerebbe solo una parte delle licenze effettivamente in commercio.
L’attrice accusa le società produttrici di aver violato non solo il contratto, ma anche il principio di buona fede e trasparenza, che impone a ciascuna parte di non ostacolare indebitamente il diritto dell’altra ad ottenere quanto pattuito. Il punto centrale della disputa è dunque il seguente: può un attore rivendicare una quota dei proventi derivanti dallo sfruttamento della propria immagine in prodotti di merchandising, anche dopo l’uscita del film? E in quali condizioni ciò è legalmente sostenibile?
Merchandising, cinema e diritti d’immagine: la rilevanza della clausola contrattuale
Nel caso specifico, la rivendicazione di Bonnie Aarons trova fondamento nella presenza, all’interno del contratto, di una clausola che prevederebbe esplicitamente il diritto a una percentuale sui proventi derivanti dalla vendita di prodotti con la propria immagine. Questo dettaglio è cruciale: in assenza di una clausola chiara e specifica, è molto difficile per un attore ottenere una quota di questi ricavi. Infatti, nel settore cinematografico e televisivo, i diritti di immagine e i proventi derivanti da sfruttamenti successivi (merce venduta, spin-off, videogiochi, ecc.) devono essere negoziati con precisione.
Nel caso in cui, invece, tali clausole siano presenti, la loro interpretazione e applicazione corretta diventa essenziale. Le parti devono rispettare gli obblighi di rendicontazione e le condizioni contrattuali pattuite, evitando comportamenti che possano ridurre artificiosamente le quote spettanti all’artista. La mancata comunicazione di tutte le licenze concesse o la sottostima dei ricavi potrebbe configurare una violazione contrattuale, con risarcimento dei danni.
Le implicazioni per il settore creativo e per le imprese
La vicenda di Bonnie Aarons solleva riflessioni importanti per chi opera nel settore dello spettacolo, ma anche per aziende, artisti, creatori di contenuti, influencer e titolari di diritti d’autore o di immagine.
Sempre più spesso, infatti, l’immagine personale o l’identità creativa si trasforma in un elemento centrale della strategia commerciale di un progetto. Pensiamo a personaggi di film, serie televisive, fumetti, ma anche ad artisti o influencer che prestano il proprio volto a brand e prodotti. In questi casi, la tutela preventiva attraverso contratti chiari, dettagliati e bilanciati diventa fondamentale.
Allo stesso modo, le aziende devono essere consapevoli delle responsabilità che derivano dallo sfruttamento dell’immagine altrui. Anche se il personaggio è frutto di una sceneggiatura o di un’idea grafica, l’immagine di un attore è tutelata dalla legge, in particolare quando è direttamente associata alla vendita di prodotti.
Cinema e diritti d’immagine: il valore e la necessità della tutela legale
Il caso di Bonnie Aarons ci ricorda che l’immagine personale, quando associata a un personaggio di successo, può generare un valore economico rilevante, spesso ben oltre il compenso percepito per la partecipazione a un film. Difendere questo valore è un diritto di chi contribuisce in modo determinante alla costruzione del personaggio stesso.
Affidati a un professionista
Nel mondo dell’entertainment, l’immagine non è solo apparenza: è patrimonio, identità e, sempre più spesso, anche un diritto economico da tutelare. Lo Studio Bonini esegue attente verifiche, grazie a un team di professionisti e di collaboratori altamente qualificati, tutela al meglio i diritti di immagine.